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Riforma del comparto sanitario calabrese, Fullone e Mazza: “Operazione non più differibile”

Intervento

La prossima uscita dal Commissariamento impone alla Politica un riordino dell’assetto sanitario territoriale e ospedaliero della Calabria

Mercoledì 10 dicembre 2025

Il sistema sanitario della Regione si confronta da anni con una serie di criticità strutturali e congiunturali che impongono una profonda riorganizzazione dell’impianto. Le cause principali di queste difficoltà vanno ricercate al più presto. Bisogna considerare, anzitutto, il numero sempre maggiore di pazienti che accedono ai servizi sanitari di altre Regioni. Quindi, la carenza di maestranze, sia mediche che infermieristiche; senza dimenticare l’obsolescenza dei sistemi informatici. Vieppiù, l’invecchiamento progressivo della Popolazione rappresenta un’altra sfida, organica e di primaria importanza, della quale tener conto. Quanto descritto, richiede un ripensamento sostenibile e innovativo dei modelli assistenziali tradizionali. L’intelligenza artificiale deve diventare una grande alleata unitamente alla telemedicina. Quest’ultima, infatti, è destinata a rappresentare una componente integrante ed essenziale dei futuri sistemi sanitari nazionali e regionali. La Politica regionale, pertanto, è chiamata a predisporre una profonda riforma dell’intero comparto sanitario. Anche e soprattutto, in funzione dell’annunciata uscita dal Commissariamento che attanaglia la Calabria da oltre 15 anni.

La lenta agonia della sanità pubblica calabrese: i limiti degli apparati socio-sanitari locali come riverbero del malfunzionamento su scala nazionale

I mali del servizio socio-sanitario nazionale hanno ripercussioni su quello regionale a partire dalle privatizzazioni. In Calabria, sino a oggi, nessun Governo regionale è riuscito a costituire un sistema che assicuri i cittadini.  Emblematiche, in tal senso, alcune tabelle che riassumono la spesa sanitaria, passata dai 110 miliardi del 2014 ai 138 del 2024. Va trovato un metodo sul quale aprire un diffuso e articolato percorso di confronto che dovrà portare alla formulazione di un nuovo Piano Sanitario. Dal nostro punto di vista, speriamo si avvii una discussione vera a partire dagli Enti Locali. Vanno rielaborati alcuni concetti di base: pensiamo all’integrazione socio-sanitaria che è disciplinata come modalità di coordinamento delle prestazioni. Intese, le richiamate, come tutte le attività atte a soddisfare i bisogni di salute (prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, prestazioni sanitarie a elevato impegno socio-assistenziale). Riconoscere, inoltre, l’interdipendenza tra i vari ambiti per costruire un solido sistema integrato e intersettoriale.

Da dove partire? Dalla rifunzionalizzazione del SSN. Bisogna guardare a un nuovo paradigma che possa cambiare radicalmente l’impostazione della sanità attuale. La medicina sta attraversando una rivoluzione a cui non si fa assolutamente riferimento, perché prigionieri di una cultura ospedalocentrica. Come sarà allora la medicina del futuro? Certamente non quella a cui siamo, nostro malgrado, affezionati. Essa utilizzerà un modello sanitario articolato e integrato, in grado di associare misure atte a prevenire l’insorgenza delle malattie con la capacità di identificare le predisposizioni genetiche individuali, grazie anche alla rivoluzione digitale. Tutto ciò comporta, per la costruzione di un Piano socio-sanitario, un avanzamento del piano culturale. Non bisogna guardare al passato. Si tratta, quindi, di una sfida che va accolta, gestita e rilanciata.

Ripensare ruoli e funzioni della sanità territoriale e dell’assistenza ospedaliera

I Comuni detengono funzioni fondamentali nella promozione della salute. I Sindaci svolgono un ruolo cruciale per il benessere delle Comunità. I loro compiti includono la gestione dei servizi socio-sanitari locali; la promozione, attraverso programmi educativi, di stati di vita sani; la supervisione della sicurezza ambientale e la collaborazione con le Autorità sanitarie. Nella rete dei servizi territoriali sono state pensate le Case e gli Ospedali di Comunità. Tali strutture rappresentano i luoghi fisici di prossimità e di facile individuazione per entrare in contatto con l’assistenza sanitaria territoriale. Bisogna velocizzare la loro realizzazione avviando, contestualmente, la digitalizzazione complessiva del sistema sanitario. Il PNNR insieme al FSE 2.0 dovranno essere perno centrale e motore propulsivo di una riorganizzazione tecnologica e strutturale. Certamente una sfida complessa. Tuttavia, necessaria per trasformare un sistema lento e inefficiente in un motore sociale dinamico e solerte. Il successo dell’operazione dipenderà da uno sforzo collaborativo che coinvolga tutti i principali attori in campo: Amministrazione regionale, Aziende sanitarie, Azienda Zero, Ricerca universitaria e Cittadini. Bisognerà rivedere l’implementazione operativa, la gestione dei sistemi informatici e strutturare piani innovativi. Si dovrà passare da una logica puramente prestazionale a una medicina di prossimità. Andrà rivisto, infine, il ruolo dei Medici di base e bisognerà ripensare le funzioni dei nosocomi con l’istituzione di Poli ospedalieri.

Avviare una riorganizzazione sistemica delle AO e delle ASP

Un sistema sanitario che nella sua struttura organizzativa aspiri a essere efficiente dovrà scindere la medicina territoriale dall’assistenza ospedaliera. Oggi, le Aziende ospedaliere calabresi si occupano dell’esclusiva direzione dei tre ospedali HUB della Regione (CZ-CS-RC). La gestione degli ospedali SPOKE e dei Presidi di base resta, insieme all’assistenza territoriale, in capo alle ASP. Questo tipo di impostazione ha dotato gli ospedali di secondo livello di un’offerta variegata, ma ha svuotato buona parte delle competenze che un tempo erano presenti anche negli altri ospedali. Una disposizione, quindi, scriteriata che ha centralizzato l’offerta ospedaliera. Senza tenere conto, in verità, delle precarietà territoriali e dei limiti nelle comunicazioni tra gli ambiti che caratterizzano la Regione. Lo schema descritto ha prodotto disservizi, diseconomie e scarsa qualità della risposta ospedaliera e della medicina territoriale. Andrà avviata, pertanto, una rivoluzione gestionale e logistica che, anzitutto, consideri la nuova mappatura territoriale derivante dalla nascita dei nuovi ospedali. Parimenti, andranno disegnati bacini di competenza che guardino oltre il semplicistico paradigma attuale, fondato sulle tre AO (Aziende ospedaliere) attualmente in essere. Partendo dalla elevazione delle esistenti AO in AOU (Aziende Ospedaliero Universitarie), bisognerà studiare un sistema che rilanci il ruolo degli SPOKE. Oggi, la mappatura regionale degli ospedali di primo livello si compone di 8 strutture complessive. La loro offerta copre ambiti territoriali che si inquadrano in una forbice compresa tra 160 e 180mila abitanti. Rispettando i principi di omogeneità territoriali, si potrebbe procedere con accoppiamenti degli SPOKE per specificità e offerta sanitaria. Tale sistema consentirebbe di superare il tetto dei 300mila abitanti e, quindi, di creare ulteriori 4 AOC (Aziende ospedaliere complesse): Pollino/Tirreno, Sibaritide/Crotonese, Istmo/Serre, Piana/Locride. Ognuna di queste AOC dovrebbe essere messa in condizione di offrire un ventaglio completo delle prestazioni tra i due ospedali componenti l’assetto aziendale: Castrovillari/Paola-Cetraro, Corigliano-Rossano/Crotone, Lamezia/Vibo, Palmi/Locri. Chiaramente, scorporati dalle ASP i Presidi ospedalieri, si potrebbe abbandonare la logica delle ASP, optando per un’unica azienda sanitaria regionale (ASR). Quest’ultima avrebbe competenze specifiche per la esclusiva organizzazione della sanità territoriale e per tutte quelle strutture previste dal PNNR (Ospedali di Comunità, Case della Comunità, Centrali operative). Ridefinendo, quindi, i perimetri dei distretti sanitari, l’offerta calabrese potrebbe, finalmente, connotarsi come efficiente e funzionale.

Sandro Fullone

Domenico Mazza